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La Pitina Igp e i prodotti di montagna del Pordenonese: un’occasione imperdibile per promuovere le vallate con il turismo lento

22 Luglio 2018 - Local Genius

La Pitina Igp e i prodotti di montagna del Pordenonese: un’occasione imperdibile per promuovere le vallate con il turismo lento


È stata ideata per trarre vantaggio anche dall'abbattimento di camosci o caprioli nelle attività venatorie, e di capi ovini e caprini malati e non più remunerativi

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«Saper promuovere lo straordinario ventaglio di proposte che caratterizzano il territorio del Friuli Venezia Giulia, dalle montagne al mare. Questa la sfida che il sistema agroalimentare, e l’agricoltura della nostra regione, debbono saper cogliere per concorrere a restituire attrattività al territorio montano, e anche a quello pedemontano regionale. Quest’ultimo spesso dimenticato, ancorché costellato di siti, attività, opportunità che sono state sviluppate nel tempo superando difficoltà non inferiori a quelle vissute dalle nostre genti in alta montagna, e che sono il frutto e la testimonianza della nostra più antica tradizione. Questi, in sintesi, i contenuti dell’intervento dell’assessore regionale alle Risorse rurali e forestali, Stefano Zannier, al convegno inaugurale della 22. Festa della Pitina, a Tramonti di sopra». Lo si legge in una nota stampa ufficiale diramata dalla Regione Friuli Venezia Giulia sabato 21 luglio 2018, e che riportiamo integralmente.

«Svoltosi nella sede municipale, e curato da Slow food, organizzazione – spiega il comunicato – che proprio alla Pitina aveva dedicato la propria attenzione per valorizzare questo prodotto unico, e antico, della pedemontana Pordenonese. Pitina, che è di recente divenuta un prodotto IGP, il primo della provincia di Pordenone. Zannier, che ha preso la parola a conclusione del convegno coordinato dal neo presidente di Slow food FVG, Giorgio Dri, nel corso del quale sono intervenuti tra gli altri il sindaco, Giacomo Urban, Cesare Bertoia, della Camera di commercio di Pordenone, e Guglielmina Cucci, assessore al turismo del Comune di Pordenone, a significare la potenzialità attrattiva dei prodotti tipici quale richiamo per l’area vasta, ha innanzitutto sottolineato l’unicità della Pitina, che può essere prodotta e acquistata solamente nella Val Tramontina. Essa rappresenta dunque un’occasione imperdibile per promuovere le vallate attraverso un turismo lento, appunto ‘slow’, attento alle peculiarità del territorio. Al quale, la valorizzazione di occasioni del gusto come quella rappresentata dalla Pitina e dall’intera filiera dei sapori dell’area, può offrire un significativo e ulteriore motivo di interesse».

«Zannier, ha anche rilevato – citiamo sempre testualmente – che la metà del territorio dell’ex provincia di Pordenone è area montana. E ha evidenziato che per ridare vitalità a quest’area, occorre creare nuove occasioni di imprenditorialità.  Che, come quelle offerte dal turismo di qualità, sono fornite da esperienze e percorsi qual è quello seguito, e completato con successo, per il riconoscimento della Pitina. Non solo, ma per il recupero e il rilancio del territorio montano e pedemontano, l’attenzione andrà posta anche allo sviluppo delle filiere zootecnica, con le forme di allevamento sul territorio che concorrono a mantenerlo fruibile e curato, e silvo-forestale. Con l’obiettivo di offrire, soprattutto ai giovani, l’occasione per permanere sul territorio fruendo di nuove opportunità di imprenditorialità. La pitina, nella val Tramontina, ha origini antiche. È stata ideata per trarre vantaggio anche dall’abbattimento di camosci o caprioli nelle attività venatorie, e di capi ovini e caprini malati e non più remunerativi. Le carni degli animali erano una ricchezza davvero troppo preziosa per poter essere abbandonate. Per questo motivo, era stato individuato un metodo di conservazione di lungo periodo». «La Pitina e le sue varianti, peta e petuccia, sono infatti uno dei metodi di conservazione individuati anticamente: la carne, tritata e pestata finemente, veniva arricchita con sale, aglio, pepe nero spezzettato. Con questa carne macinata – conclude la nota stampa – venivano realizzate piccole polpette, che erano poi passate nella farina di mais, e lasciate affumicare sulle mensole del focolare, bruciando in particolare legno di pino mugo. Una volta affumicate, le pitine potevano essere conservate per diversi mesi. Nel tempo, la pitina è divenuta un punto di riferimento del gusto per la Val Tramontina. Un richiamo, anche sotto il profilo turistico. Ed è prodotta da sei aziende delle vallate».

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