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Magistrati antimafia, giornalisti, avvocati, lotta alla ‘ndrangheta, il sostegno di tanta stampa a Gratteri… Parliamone!

8 Ottobre 2023 - Massimo Tigani Sava

Magistrati antimafia, giornalisti, avvocati, lotta alla ‘ndrangheta, il sostegno di tanta stampa a Gratteri… Parliamone!




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Magistrati antimafia, giornalisti, avvocati, lotta alla ‘ndrangheta, il sostegno di tanta stampa a Gratteri… Parliamone!

Sono rimasto ancora una volta molto perplesso a fronte degli interventi dei penalisti calabresi all’indomani della nuova inchiesta della Dda di Catanzaro detta “Garbino” e relativa, in prevalenza, al delicato territorio di Isola Capo Rizzuto. A chi si riferisce la Camera penale di Catanzaro quando parla di “certa stampa consociata”? Chi ha mai usato, sulla stampa, l’espressione “Tutti massoni, gli avvocati. Tutti mafiosi. Tutti impegnati in una difesa corporativa”? Quale sarebbe questa “stampa sempre meno indipendente dalle Procure”? Che cosa dovrebbe fare, invece, la stampa: ignorare le inchieste antimafia? Pubblicare solo comunicati stampa o veline? O addirittura attaccare le Procure e i magistrati impegnati con coraggio nel contrastare il crimine organizzato e la massomafia (neologismo utile a definire il perverso intreccio fra criminali e colletti bianchi deviati o collusi)? Ovviamente no! Per la società calabrese, meridionale e italiana è più pedagogico osservare che la stampa libera fa quadrato attorno alle Procure e ai magistrati antimafia, o l’esatto contrario? E poi, visto che si parla di “stampa consociata”: quante volte è capitato che siano stati censurati gli avvocati difensori di qualsivoglia indagato o imputato desiderosi di chiarire aspetti, circostanze, verità, fatti? Che ruolo dovrebbe svolgere il sistema dell’informazione? Occuparsi solo di cronaca leggera e non anche di giudiziaria, far finta di nulla mentre ogni relazione attendibile di Istituzioni specializzate denuncia i mille pericoli di infiltrazione della ‘ndrangheta e di abbassamento della tensione etica in troppi ambiti? E ora diciamola tutta: la stampa calabrese che difende l’operato dei magistrati antimafia, come nel caso del Procuratore Nicola Gratteri, sarebbe migliore, più attenta e credibile se invece lo attaccasse o tentasse di delegittimarlo? E perché, eventualmente, dovrebbe farlo? A vantaggio di chi? La domanda finale che poniamo, per sgombrare il campo da ogni equivoco, è la seguente, non prima di aver precisato che per fortuna l’attuale Procuratore di Catanzaro non è solo, ma tanti suoi colleghi altrettanto dinamici e solidi sono impegnati quotidianamente, in Calabria e altrove, nell’azione di estirpazione dei fenomeni mafiosi: la ‘ndrangheta ha paura o no di Gratteri e dei suoi colleghi? La camorra è contenta o no circa l’arrivo di Gratteri a Napoli? Le risposte sono semplici e scontate. La capacità consolidata, e provata anche da molte sentenze, di penetrazione patologica della criminalità organizzata nei tessuti economico-sociali di tante realtà, l’alleanza con zone grigie, lo scambio di voto politico-mafioso, la perniciosa tendenza ad allearsi con pezzi deviati della vita civile non sono il vero cancro in metastasi da combattere?
Facendo eco alla Camera penale di Catanzaro, il Coordinamento delle Camere penali calabresi, in un documento circolato anche sui social, ha parlato di “giustizialismo mediatico” e di “giustizia mediatica calabrese”. Lo stesso Ordine degli avvocati di Catanzaro ha espresso perplessità “circa il metodo giudiziario-mediatico con cui si propalano le notizie che vedono coinvolto un Avvocato e ogni volta che ciò accade” ed esprime “preoccupazione per il clima che sembra ormai avere ad oggetto la Classe Forense”. In tutta onestà chiunque può constatare come le notizie di giudiziaria non si siano mai fermate nei confronti di nessuno: politici, esponenti delle Istituzioni anche di primo piano, imprenditori, professionisti di varia natura, sportivi, giornalisti… Si può davvero constatare un particolare accanimento mediatico contro gli avvocati?
Torniamo ora al concetto relativo alla funzione primaria della stampa che dovrebbe preoccupare, nonché generare adeguate azioni di protesta, qualora fosse troppo silente, troppo ossequiosa di poteri vari, imbelle e debole, poco graffiante, paurosa e “velinara”, appiattita o peggio ancora serva o soggiogata da qualcuno che ti lancia un tozzo di pane per sopravvivere. Urge piantare i paletti e quindi riassumiamo in maniera telegrafica il quadro di diritti costituzionali entro i quali si muove il giornalista nell’esercizio della propria professione. L’art. 21 della Carta Repubblicana prevede che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. La Cassazione, lungo un sentiero ormai consolidato, ha più volte ribadito che tre sono i pilastri cui il giornalista deve ancorarsi per poter esercitare il diritto-dovere di informare (cosiddetto diritto di cronaca): la notizia deve essere “vera”; la pubblicazione della notizia deve corrispondere a un “interesse pubblico”; il linguaggio usato deve essere “continente”. Purché si rimanga entro questi limiti, la stampa non può e non deve avere il timore che la notizia pubblicata possa ledere la reputazione altrui, proprio perché l’esercizio del diritto di cronaca, se è evidente l’interesse pubblico, può comportare intromissioni nella sfera privata. Non esistono, quindi, notizie “segrete”, ma solo notizie vere o false! Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, peraltro stimatissimo giurista, ha più volte ribadito (cito testualmente) che “l’incondizionata libertà di stampa è un elemento portante e fondamentale della democrazia e non può essere oggetto di insidie volte a fiaccarne la piena autonomia e a ridurre il ruolo del giornalismo”. Infine, proprio in queste ore, il Parlamento Europeo ha sancito a larghissima maggioranza “l’obbligo per i Paesi UE di garantire la pluralità dei media e di proteggerne l’indipendenza da interferenze governative, politiche, economiche o private”, ed ha proposto misure “per impedire che siano esercitate pressioni esterne sui giornalisti, attraverso ad esempio l’obbligo di rivelare le fonti, l’accesso a contenuti crittografati sui loro dispositivi o l’uso di software spia”. Ricorderò fino allo sfinimento che lo Scandalo Watergate (1972), che comportò le dimissioni di Richard Nixon, potentissimo Presidente degli Stati Uniti d’America, fu possibile grazie a una “Gola Profonda”. I giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein, poi insigniti del Premio Pulitzer, scrissero le loro coraggiosissime cronache sul Washington Post facendo leva sulle soffiate di un personaggio rimasto nascosto per decenni e poi rivelatosi di altissimo livello. Che cosa si contesta quindi alla “stampa consociata”? Di aver pubblicato notizie vere o false? Di aver dato spazio a notizie di interesse pubblico o no? Ovviamente se qualcuno, sbagliando, ha per caso dato del “mafioso” a quanti non meritano questo appellativo, ci sono le sedi opportune per affrontare il problema.
Nella fattispecie, l’ipotesi di reati comuni è nata da intercettazioni ambientali in un’inchiesta sul crimine organizzato. Molte le legittime domande possibili, sia da parte dei giornalisti sia della classe forense: le trascrizioni delle intercettazioni sono perfette? I reati comuni ipotizzati hanno un fondamento? E se dovessero averlo (ora dovranno essere i giudici a stabilirlo), si aprirebbero o no altri interrogativi su momenti fondamentali della vita civile e anche sul perché di alcune relazioni? Nessuno nega, in ogni inchiesta della magistratura, l’attenzione massima per l’aspetto della dimensione umana. Ma non sarebbe meglio contestare i fatti? Né sfugge che a chiunque, e a qualsiasi livello, possa capitare, nella vita, uno scivolone, una momentanea perdita di controllo, l’incorrere in un errore più o meno grave. Può accadere, ripeto, a chiunque. Così come può succedere che degli indagati vengano completamente scagionati o assolti, nella naturale dinamica dei processi e delle garanzie costituzionali.
Un’ultima considerazione che va al di là della specifica inchiesta, e che tiene conto delle tantissime indagini antimafia conclusesi o in corso, e che dovrebbe, spero, indurre riflessioni profonde: la ‘ndrangheta, la mafia, la camorra sono il problema dei problemi proprio perché non siamo di fronte a contesti economico-sociali in cui mondi assolutamente separati camminano su binari paralleli senza incontrarsi mai. ‘Ndrangheta, mafia e camorra gestiscono potere reale e si occupano di affari colossali perché utilizzano le zone grigie, perché mettono in contatto, talora anche casualmente, attraverso subdoli fenomeni osmotici o di frequentazione di ambienti solo all’apparenza ben filtrati, realtà “nere” e realtà “bianche”. Purtroppo vivendo in Calabria, Sicilia, ma pare di capire anche in diverse altre regioni d’Italia e del Pianeta, se non stai attento e se non ti limiti a fare rigorosamente il tuo dovere, anche a costo di apparire scostante, puoi correre il rischio di mettere un piede dove non avresti dovuto metterlo, o magari di essere accostato, persino indirettamente e inconsapevolmente, a situazioni o soggetti di colore “nero” o che razzolano nel “grigio scuro”. Sarebbe importante, in ogni contesto, proprio al fine di evitare che i problemi si affrontino solo nel momento in cui arrivano i magistrati (e questo ragionamento vale prima di tutto per la politica), ergere dighe e isolare preventivamente ogni possibile forma di inquinamento, di distorsione, di sottovalutazione. Ne riparleremo! (Massimo Tigani Sava)

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