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Politica e potere in Calabria: il “nemico” è Gratteri, assieme agli altri magistrati, o è il sistema in forte ritardo?

28 Giugno 2023 - Massimo Tigani Sava

Politica e potere in Calabria: il “nemico” è Gratteri, assieme agli altri magistrati, o è il sistema in forte ritardo?


Occorrerebbe avviare una riflessione profonda sui molti limiti accumulati, che deve partire dai vertici istituzionali e dei partiti

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Politica e potere in Calabria: il “nemico” è Gratteri, assieme agli altri magistrati, o è il sistema in forte ritardo?

La Calabria dovrà primo o poi decidere di cambiare rotta, oppure di assistere al suo definitivo collasso. L’ultima inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro, guidata dal Procuratore Nicola Gratteri, e per la quale il Gip Antonio Battaglia ha emesso una corposa e articolata ordinanza per l’applicazione di misure cautelari, merita una riflessione alta, storico-politica prima che giudiziaria, e se vogliamo anche sociologica, indenne da polemiche o possibili ragionamenti di parte. Accanto al lavoro dei cronisti che mira a chiarire i punti di un vasto lavoro d’indagine, può essere utile, collegandosi peraltro ad altre inchieste simili che hanno avuto differenti territori come scenario, porsi alcune domande. La prima: che cos’è stata, e cosa molto probabilmente è ancora (per quanta parte?), la gestione del potere politico in Calabria? È o no una gestione inquinata da forme esasperate di clientelismo, da un sistema ammalato e insostenibile di raccolta del consenso, da una visione distorta del funzionamento della cosa pubblica? Sì o no? Questa domanda la possiamo porre a prescindere dalla situazione giudiziaria dei singoli, dal lavoro specifico dei magistrati e degli avvocati, dei pm e dei giudici. Dall’ex presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, mi sarei aspettato profonde riflessioni su questo argomento primario, fondamentale e dirimente. Oliverio ha preferito parlare di «sistema giustizia piegato al protagonismo mediatico»: si riferiva a Gratteri o a qualcun altro? La tensione di un indagato è umanamente comprensibile, ma non sarebbe stato meglio proporre una riflessione più attenta e lungimirante? Ripetiamo la domanda: che cosa è e che cosa è stata la gestione del potere politico in Calabria? Anche dal presidente attuale, Roberto Occhiuto, che ha una lunga esperienza alle spalle, sarebbe lecito attendersi un’analisi approfondita, perché anche questa inchiesta ha messo in luce, come numerose altre, tanti diffusi toni di grigio.

Se facciamo tutti uno sforzo per alzare il livello del confronto, arriveremo a chiederci se non sia stata la politica a non avere la capacità di percepire il mutamento dei tempi, senza attendere che fosse la magistratura a doversi occupare del rapporto tra ‘ndrangheta, politica, poteri, consenso. A meno che non si voglia dichiarare che tutte le inchieste della magistratura calabrese e non che hanno toccato questo argomento siano fatte male, siano infondate ed esagerate, o addirittura finalizzate al cieco “carrierismo” di alcuni. Opzione questa, spero che tutti condividano, altamente improbabile. Molto più plausibile, invece, il ritardo generalizzato del sistema politico calabrese, di centrosinistra e di centrodestra, nel rinnovarsi dalle fondamenta, nel procedere verso consistenti forme di ricambio, generazionale e non, nel comprendere che le dinamiche accettate nel secondo Novecento sono superate, sono diventate pericolose, sono improponibili. Questi passaggi storico-politici, economico-sociali e sociologici non li hanno sanciti a tavolino i giudici di Mani Pulite, Falcone e Borsellino, Di Matteo o Gratteri, ma rappresentano una naturale e irreversibile evoluzione verso nuovi assetti. Un’evoluzione positiva che evidentemente stenta, è lentissima, presenta troppe contraddizioni, trova ostacoli di ogni tipo. Ecco quindi che i Gratteri non sono la causa di ciò che accade, ma l’effetto. Sono il termometro che misura la febbre, se vogliamo anche l’antipiretico per impedire che le temperature salgano a dismisura, ma non la cura strutturale che spetta alla politica stessa, a partire dalla Regione Calabria e dai partiti. Sono i partiti e i loro massimi rappresentanti, i parlamentari e i consiglieri regionali tutti che, tenute presenti queste fondamentali inchieste della magistratura (a prescindere dalle responsabilità dei singoli che andranno appurate nelle sedi opportune e nei diversi gradi di giudizio), dovrebbero convocare una sorta di assemblea permanente per fissare nuovi paletti in modo bipartisan. Il primo enorme paletto da piantare è quello che riguarda l’assoluta distanza da tenere rispetto ai condizionamenti della ‘ndrangheta, diretti o mediati da soggetti che svolgono proprio questa funzione, ovunque! E che evidentemente trovano varie sponde. Perché le scelte dei personaggi ai quali affidare ruoli talora decisivi, o comunque importanti e talora anche ben remunerati, non le fa la magistratura, ma le fanno i partiti e i capi-partito, magari più propensi (quante volte?) a contare voti e preferenze che non qualità intrinseche in un’ottica meritocratica.

Seconda domanda, e per ora ci fermiamo qui: la politica deve porre le condizioni affinché si creino opportunità per tutti, per le imprese, per i lavoratori, per i professionisti. La Svezia, l’Olanda e la Finlandia funzionano come la Calabria? Se il sistema politico calabrese risponde sì, e ne è sicuro, non ci resta che sederci in un angolino e piangere a dirotto. Se non è così, allora bisognerà prima o poi porsi il problema e, come dicevamo all’inizio, mutare rotta rapidamente, a 360 gradi. Mi rendo perfettamente conto che il confine, in Calabria, tra stare a galla e scivolare verso i reati e la connivenza può diventare molto labile, perché questa è una terra amara, povera, disorganizzata, carica di emergenze irrisolte, strutturalmente debole, spesso inospitale per quanti hanno voglia di fare. Per stabilire in quali circostanze si viola la legge è fondamentale l’intervento dell’apparato giudiziario. Anche in questo caso, però, la politica e i partiti possono e dovranno fare molto di più: bandire in via definitiva le clientele, rifiutare ovunque i voti clientelari, costruire su basi nuove premiando non i pacchetti di voti ma, in modo radicale, solo capacità, efficienza, meritocrazia. Le nomine e gli incarichi dovranno essere (tutti indistintamente) attribuiti non perché potenzialmente funzionali a sistemi di potere, ma perché utili per migliorare il governo della cosa pubblica. Ultima riflessione: tutto il mondo è paese? Tutta l’Italia ha funzionato come la Calabria? Se la risposta è sì, torniamo all’opzione “lacrime da versare”. Se è no, oppure se il peso delle distorsioni tra Nord e Sud è diverso, si apra un ragionamento specifico sul Mezzogiorno e sulla Calabria. Purché si sappia che il nemico non è la magistratura, ma quella politica di vertice che non capisce o fa finta di non capire! (Massimo Tigani Sava)

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