Quanto sarebbe straordinaria una Calabria che, devastata, lacerata, sottomessa, inquinata, insanguinata, stuprata dalla ‘ndrangheta e dai suoi cinici alleati (chiamateli massomafia, chiamateli colletti bianchi deviati, chiamateli “i soliti feudatari”), manifestasse di continuo, e mai in modo retorico o formale, autentica vicinanza all’operato delle forze dell’ordine, delle Procure, delle Dda, dei Gip e dei magistrati giudicanti! La lotta dura alla ‘ndrangheta sarà vincente e risolutiva quando, accanto all’incessante lavoro di repressione legale e al varo di riforme adeguate, questa malapianta verrà isolata culturalmente, politicamente, civilmente. L’ultima inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro, guidata dal Procuratore Nicola Gratteri e riguardante l’infestato territorio vibonese limitrofo alla Piana, dovrebbe far rabbrividire tutta la società calabrese. Le indagini condotte dai Carabinieri, coordinate dalla Procura e sottoposte al vaglio del Gip, hanno svelato ancora una volta quanto la ‘ndrangheta non sia solo una sommatoria di ipotesi di reato che spetta a giudici terzi valutare nella loro indipendenza sancita dalla Costituzione, ma sia piuttosto un potentissimo sistema maleodorante che tocca quasi tutti gli angoli del tessuto economico-sociale, che si fa “Stato” e fa concorrenza allo Stato nel controllo del territorio, che pretende di agire dettando le regole e condizionando la vita di tutti. Qui non siamo di fronte a fenomeni criminali gravissimi, ma separati l’uno dall’altro. Ci confrontiamo, piuttosto, con una sorta di regia complessiva dalla natura policentrica, articolata e mutevole nel tempo a seconda dei soggetti che di volta in volta possono rivendicare un ruolo preminente. Un unico fine, un unico disegno di sovvertimento e di sopraffazione, volto a imporre, con una cappa asfissiante di violenza e di intimidazione, un dominio assoluto che sfida lo Stato e ogni regola di convivenza civile. Ho letto con piacere il commento agli esiti dell’operazione Maestrale-Cartagho da parte del ministro dell’Interno, Piantedosi. Il responsabile del Viminale ha colto, al di là delle specifiche responsabilità dei singoli che verranno valutate nei diversi gradi di giudizio, il senso del lavoro coraggioso portato avanti dagli organismi investigativi e dalla Dda «per contrastare le reti criminali che, attraverso i loro traffici illeciti e le estorsioni, cercano di imporre la loro presenza sui territori, infiltrandone il tessuto sociale ed economico». Eccolo il nodo cruciale: la ‘ndrangheta, come la mafia e la camorra, non è crimine comune proprio perché, tra l’altro, mira a infiltrare e parassitare il tessuto sociale ed economico, ad ogni livello e in ogni ambito, così come hanno dimostrato tante inchieste della magistratura condotte in tutta Italia. E questa infiltrazione continua e profonda, che fa leva su spaventose e allarmanti collusioni, connivenze e convenienze, a partire da certa politica interessata ai voti sporchi e ad acquisire il valore aggiunto della ‘ndrangheta per prevalere sui propri avversari, è il male dei mali, è il cancro in metastasi che ha portato in Sicilia ai barbari omicidi di Falcone e di Borsellino, così come di molti altri magistrati, imprenditori, amministratori, politici, esponenti delle forze dell’ordine, giornalisti, professionisti che non si sono piegati, che hanno combattuto per difendere la Repubblica, che hanno difeso la libertà di tutti a costo di finire ammazzati.
Se il quadro generale è questo, e dipinge un contrasto epocale e globale ai poteri mafiosi che con la loro potenza economica e militare stanno corrodendo i pilastri fondamentali dei regimi democratici, possiamo immaginare che ‘ndrangheta, mafia e camorra siano fatte solo di killer, boss e gregari? O, come dimostrano tutte le più autorevoli relazioni redatte dalle istituzioni competenti, il potere vero e più forte delle mafie nasce dall’essersi assicurato l’aiuto (di volta in volta diretto, indiretto, mascherato, sottile, spregiudicato, sotterraneo, palese, ambiguo…) di pezzi di politica corrotta, di apparati dello Stato infedeli, di ceti professionali non proprio scrupolosi o addirittura soggiogati, di imprenditoria collusa, di economia reale inquinata? Fiumi di denaro e di interessi illeciti, così come di sfrenate ambizioni di potere, fanno da collante, da enzima catalizzatore, da inesauribile motore propulsivo.
Le porzioni migliori e più sane della società dovrebbero tenere questi argomenti al centro del confronto quotidiano, manifestando vicinanza continua e convinta agli eroi civili che combattono la piovra per difendere la democrazia e le libertà di tutti. Se è così, perché se non fosse così saremmo legittimati ad aumentare il generale livello di preoccupazione, non riesco a comprendere come, perché e in che senso il tema del cosiddetto “garantismo”, i cui princìpi generali condividiamo tutti, abbia rischiato più volte di apparire come formulazione di “dubbi”, o comunque di “perplessità”, sul sistema giudiziario nel suo complesso, nonché sull’azione di quegli eroi civili che per fortuna godono del sostegno della maggioranza del popolo. Il garantismo è sacrosanto, e quando indica errori giudiziari dolosi è benefico, ma è più efficace e chiaro se accompagnato da una costante lucida analisi sul dramma principale, sul male da estirpare, sull’individuazione netta del nemico da combattere e da sconfiggere.
Nell’ambito di questo ampio ragionamento, che ritengo meriti dovuta attenzione, a poche ore dallo svelamento della nuova inchiesta antindrangheta, leggo su un giornale online calabrese la seguente nota: «Il Coordinamento delle Camere Penali Calabresi, costituito dalle Camere territoriali di Catanzaro, Reggio Calabria, Cosenza, Crotone, Vibo Valentia, Palmi, Rossano, Castrovillari, Lamezia Terme, Locri e Paola “esprime nel rispetto delle Istituzioni, della Giurisdizione e a presidio dell’inviolabilità del principio di presunzione d’innocenza, solidarietà e vicinanza al collega Francesco Sabatino, attinto ieri (venerdì 8 settembre, ndr) da ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’inchiesta Maestrale-Carthago, con l’auspicio che possa chiarire al più presto la propria posizione”».
Leggo, rileggo e mi chiedo, nel massimo rispetto del principio di presunzione d’innocenza che riguarda tutti gli indagati di tutte le inchieste in atto in Italia: che cosa significa questa presa di posizione che non spende una parola, dico una, sulla tremenda realtà che comunque emerge, anche al di là delle specifiche responsabilità dei singoli, dall’ennesima inchiesta che la Dda di Catanzaro ha portato avanti per contrastare la ‘ndrangheta? Sarebbe stato “retorico” o “inutile” un solido preambolo sul devastante e perdurante fenomeno dell’inquinamento mafioso? Sarebbe stato “ridondante” o “superfluo” un esplicito messaggio di vicinanza autentica, oltre che di formale “rispetto”, anche per le forze dell’ordine e i magistrati ancora una volta in prima linea? Proprio una riflessione più ampia e ben declinata sulla terribilità della ‘ndrangheta avrebbe rafforzato e riempito di contenuti positivi la “solidarietà e vicinanza” al collega avvocato finito in carcere. Come dire: di fronte alla drammaticità di quanto, ancora una volta, emerge sul fronte economico-sociale e civile dal lavoro degli organismi investigativi coordinato dalla Dda, e sottoposto a un primo fondamentale vaglio da parte del Gip, riteniamo di dover esprimere sentimenti di “solidarietà e vicinanza al collega…” conoscendone la carriera, le doti, le caratteristiche, la professionalità, ecc. ecc. Non ho alcuna conoscenza diretta del professionista coinvolto nell’inchiesta, né il mio scrivere è teso ad affrontare la posizione di questo indagato o di altri. Umanamente, spiritualmente e culturalmente non sono un giustizialista, ma penso sia doveroso porsi delle domande sulle poche righe sottoscritte dalle Camere penali calabresi, tra forma e sostanza. Perché la nota è stata scritta così? Non ritengono, le stesse Camere penali, che il ribadire l’inviolabilità del principio di presunzione d’innocenza dovrebbe camminare accanto a una mai stucchevole o pleonastica “cannonata” contro il cancro in metastasi di una ‘ndrangheta che dimostra, ormai in maniera univoca, la capacità di inquinare la vita civile, economica e sociale in maniera così dirompente e fortemente lesiva di tanti fondamentali e irrinunciabili princìpi costituzionali? Qualche significativo rigo in più, volto a indicare in premessa come la ‘ndrangheta e i suoi alleati siano la principale e più pericolosa minaccia contro la Costituzione Repubblicana, avrebbe arricchito, molto probabilmente, sia la forma sia la sostanza: i penalisti calabresi senz’altro lo pensano, ma non sarebbe stato meglio ribadirlo e sottolinearlo? (Massimo Tigani Sava)