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Ma qual è il nemico da combattere? La ‘ndrangheta o la “Calabria giudiziaria”? A proposito del duro scontro tra magistrati e penalisti!

10 Luglio 2023 - Massimo Tigani Sava

Ma qual è il nemico da combattere? La ‘ndrangheta o la “Calabria giudiziaria”? A proposito del duro scontro tra magistrati e penalisti!


Se la stampa calabrese ha nel proprio “dna” una forte coscienza antimafia, questo è da considerare un fiore all'occhiello e non un vizio o un'aberrazione

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Ma qual è il nemico da combattere? La ‘ndrangheta o la “Calabria giudiziaria”? A proposito del duro scontro tra magistrati e penalisti!

Roba da non credere! Ho letto con attenzione, tre volte almeno, il documento del coordinamento delle Camere penali calabresi che ha accompagnato la proclamazione dell’astensione dalle udienze e da ogni attività del settore penale per il prossimo giovedì 20 luglio. Il titolo è già significativo: «Diritto e diritti al “tempo della Calabria giudiziaria”». La principale emergenza della Calabria, sembra di capire dall’esordio, non è la ‘ndrangheta, che a detta degli istituti più specializzati in materia è la mafia più ricca, agguerrita e diffusa al mondo, ma è la “Calabria giudiziaria”. Altro che ‘ndrine con migliaia di affiliati e armi da guerra a disposizione, altro che massomafia dei colletti bianchi deviati e corrotti! Passiamo all’incipit del documento e il disorientamento per il lettore sensibile ai temi dell’antimafia cresce, nella irremovibile convinzione che gli eroi dello Stato siano i Falcone, i Borsellino, i Gratteri, i Di Matteo: i primi due scannati assieme alle rispettive scorte e i secondi due minacciati più volte di morte, tanto da non poter muovere un passo senza l’ausilio di auto blindate e forze dell’ordine con la pistola in pugno. «Il coordinamento delle Camere penali calabresi – così inizia il documento – premesso che è ormai quotidiana la concentrazione mediatica rivolta esclusivamente alle cosiddette maxi-operazioni distrettuali calabresi, veri e propri bastimenti in cui vengono “ammassati” esseri umani considerati e trattati come presunti colpevoli». Pare di capire che gli obiettivi siano due: la “concentrazione mediatica” dedicata esclusivamente alle “maxi-operazioni distrettuali” e le stesse “maxi-operazioni distrettuali calabresi” paragonate, con immagine terrificante di vagoni ferroviari piombati che avrebbe dovuto essere più meditata, a «veri e propri bastimenti in cui vengono “ammassati” esseri umani considerati e trattati come presunti colpevoli». La prima affermazione – lo dico da operatore dell’informazione – non è vera, ed auspicherei che sull’argomento intervenissero Ordine e Sindacati dei giornalisti. Non è vera perché i media calabresi non si occupano “esclusivamente” delle maxi-operazioni distrettuali, ma di tutte le notizie giudiziarie (quando possibile) e di cronaca nera, tanto per restare nell’ambito di una canonica suddivisione delle attività di tv e giornali. Se invece si voleva affermare che la stampa è molto interessata a comunicare ai cittadini gli esiti delle maxi-operazioni, siamo di fronte a un virtuoso e costituzionalmente garantito diritto-dovere di informare. E se la stampa calabrese ha nel proprio “dna” una forte coscienza antimafia, questo è da considerare un fiore all’occhiello e non un vizio o un’aberrazione, come attestano i numerosi colleghi vittime di gravi minacce per aver esercitato senza paura la loro professione. Per la seconda affermazione lasciamo la parola all’Anm, giunta sezionale di Catanzaro, datata 10 luglio: «Lascia attoniti il tenore del comunicato con cui il coordinamento delle Camere penali calabresi ha proclamato l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria per il giorno 20 luglio p.v., risolvendosi nell’ennesimo calunnioso e volgare attacco al lavoro della magistratura, accusata, con un linguaggio evocativo di fatti storici abominevoli, di ammassare esseri umani su bastimenti. Peraltro, in tale occasione le Camere penali calabresi si sono spinte oltre l’aggressione ai magistrati, scagliandosi finanche contro la libertà di stampa; manifestando, neanche troppo velatamente, la pretesa di decidere le notizie e i fatti di cui giornali e trasmissioni televisive debbano informare l’opinione pubblica».

Passiamo al secondo capoverso dell’incipit: «Premesso che la nostra regione – scrivono le Camere penali calabresi – è ormai diventata la Calabria giudiziaria delle centinaia di ordini di cattura eseguiti nottetempo, nell’ambito di quei maxi-processi meglio definibili processi straordinari in cui vengono concentrati presunti innocenti in forza di una interpretazione giuridicamente eccentrica, da parte della pubblica accusa, dell’istituto della connessione, che rende tutto (mafiosamente e non teleologicamente) connesso». L’espressione “Calabria giudiziaria delle centinaia di ordini di cattura” è sottolineata, molto probabilmente per porla ancora di più all’attenzione pubblica.

Non una parola, da parte delle Camere penali di Calabria, sull’immensa e questa sì terrificante emergenza criminale che continua a caratterizzare la vita di una regione in cui la ‘ndrangheta conta migliaia di affiliati, uccide, inquina la vita economica e sociale e finanche la democrazia repubblicana perché controlla e indirizza pacchetti di voti, corrompe colletti bianchi deviati, reinveste fiumi di danaro sporco distruggendo la libera concorrenza, intimidisce e impone il pizzo, traffica con droga, armi da guerra, rifiuti inquinanti e finanche esseri umani. Eppure questa spaventosa realtà calabrese è stata dimostrata da centinaia di inchieste e di processi, con numerose condanne anche all’ergastolo o a tanti anni di detenzione confermate in Cassazione. Inchieste e processi che hanno interessato non solo la Calabria ma quasi tutte le regioni italiane, considerata la capacità specifica della ‘ndrangheta di penetrare in tante realtà, anche primarie, del Paese. Neanche un accenno alle vittime della ‘ndrangheta, tra magistrati, carabinieri, finanzieri, poliziotti, giornalisti e finanche avvocati. Non un passaggio sui principali “vaccini” di una cultura antimafia che deve crescere e radicarsi, ovunque, proprio a partire dall’informazione per poi passare ad ogni aspetto della vita sociale. Un’adeguata introduzione, anche in questo documento delle Camere penali, sulla pericolosità estrema della ‘ndrangheta e dei suoi alleati, non avrebbe avuto il sapore della retorica, ma della sostanza, della necessità che sempre occorre avvertire di indicare con precisione e senza dubbi dove sta il male e dove sta il bene. Né si può omettere di ricordare, proprio agli avvocati penalisti, che le misure cautelari richieste dalle Procure vengono vagliate per legge dai Gip che, sempre con attenzione massima e non con metodi da “copia e incolla”, le accolgono, le negano o le ridimensionano. E che poi, per il vaglio delle misure cautelari, esistono il Tribunale del Riesame e la Cassazione, con giudici e non pm che operano in totale autonomia e certezza di diritto.

All’opinione pubblica, invece, si indica il pericolo della “Calabria giudiziaria”. Meno male che in Calabria ci sono Procuratori, aggiunti e sostituti che lavorano con grande efficacia. Meno male che in Calabria ci sono tanti giudici che, codici alla mano, decidono pesanti condanne per ‘ndranghetisti e colletti bianchi sodali delle ‘ndrine. Su questo fronte citiamo testualmente la seconda parte della nota dell’Anm del distretto di Catanzaro: «Nel ribadire che il lavoro dei magistrati in Calabria si svolge nell’osservanza della Costituzione e delle leggi, si invoca l’intervento del Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura a tutela dei magistrati del Distretto di Catanzaro, a fronte di violenti attacchi che hanno quale unico e chiaro scopo di intimidire i magistrati e delegittimarne il lavoro».

Una considerazione finale, senza entrare nel merito di alcuni aspetti più tecnici sollevati dal documento dei penalisti, riguarda la contestata «spettacolarizzazione del maxi-processo nella “terra di Calabria”». Una democrazia non morirà mai per completezza d’informazione (relativamente a Rinascita Scott, peraltro, la diretta televisiva ha riguardato solo il momento della richiesta delle pene, in un contesto generale in cui le udienze sono pubbliche). Le democrazie possono morire, invece, per mancanza d’informazione, soprattutto se si parla di criminalità organizzata, di mafie, di massomafie, di poteri deviati. Nessuno vieta, come accade in tanti contesti avanzati, che anche difese e avvocati convochino conferenze stampa, rilascino dichiarazioni, tengano contatti assidui con gli organi d’informazione, contestino pubblicamente le opinioni dell’accusa. C’è da chiedersi perché si dia l’idea, magari indirettamente, di preferire una sorta di diffuso silenzio piuttosto che il pieno e costante coinvolgimento dell’opinione pubblica. C’è da essere certi, ad esempio, che la prevista arringa nell’ambito di Rinascita Scott, proprio per giorno 20 luglio, dell’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali italiane, avrebbe riscontrato adeguato interesse da parte della stampa. Il documento dei penalisti calabresi lascia l’amaro in bocca. Sarebbe auspicabile che nello stesso mondo degli avvocati emergessero dei distinguo e delle precisazioni. La Calabria, sia chiaro a tutti, ha un unico grande nemico: la ‘ndrangheta e la massomafia che la sostiene! (Massimo Tigani Sava)

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